Il blog di Chiara Cecutti

Esiste davvero la chiave del successo? Qual è il segreto per sentirsi professionalmente realizzati?

La domanda di oggi è: esiste davvero la chiave del successo, quella sorta di passepartout ideale in grado di aprirci tutte le porte del mondo del lavoro e della realizzazione professionale? Cosa ci vuole, in pratica, per arrivare in alto ed essere soddisfatti della propria posizione? “L’ottanta per cento del successo è nel saper apparire” diceva Woody Allen, e in parte aveva anche ragione. Sappiamo infatti quanto contino nel mondo del lavoro, e non solo ad un primo incontro, un’immagine curata che dia l’idea della medesima attenzione ai dettagli nello svolgimento della nostra professione e un look accattivante, elegante, sobrio ma originale, che rispecchi la creatività che mettiamo nella nostra attività professionale e nell’utilizzo delle nostre competenze e risorse. Ma è sufficiente? E soprattutto, ed ecco il punto, basta l’impressione o tutto ciò deve corrispondere alla realtà concreta? La risposta è ovviamente scontata: è infatti assolutamente controproducente mostrarsi esteriormente al massimo non essendo in grado di esserlo nei fatti anche perché non è affatto difficile o inverosimile venire smascherati alla prima occasione.

Quali sono quindi le qualità essenziali per avere successo? Certamente non ne basta una, ma riteniamo si tratti di una serie di combinazioni, quindi di un cosiddetto mazzo di chiavi nel quale non può certo mancare una buona comunicazione: spesso non ci si rende neanche conto di come comunichiamo con gli altri, eppure lo facciamo ogni volta che incontriamo qualcuno sin dai nostri primi gesti, espressioni e movimenti, e poi con le nostre parole e con le modalità nelle quali le pronunciamo, innescando un processo, quello dell’interazione, che è bene imparare a governare e a conoscere in tutte le sue sfumature, anche per comprendere all’istante le informazioni che i nostri interlocutori ci forniscono. A ciò è quindi collegata l’empatia, altra chiave importante per entrare in contatto con gli altri, siano superiori da cui farsi apprezzare e/o collaboratori da cui è bene farsi ammirare e rispettare.

Altra chiave assolutamente e ovviamente necessaria è quella della competenza: la preparazione al ruolo che miriamo a ricoprire e alla posizione che puntiamo ad ottenere, il cosiddetto know how, è a dir poco fondamentale sia per il raggiungimento del nostro obiettivo professionale che per il suo mantenimento nel tempo, e anche per il suo eventuale superamento in vista di un ulteriore salto di qualità. Altresì necessario è che tali abilità e competenze vengano costantemente aggiornate, sviluppate e rafforzate. Importantissime inoltre le seguenti capacità: gestione del tempo per fare al meglio tutto ciò che il nostro ruolo ci impone di fare; controllo dell’emotivitàper non andare fuori di testa alla prima difficoltà ma senza diventare freddi e insensibili come colonne di ghiaccio; coltivazione dell’autostima nella giusta dose, che non sia troppa da sfociare in superbia e presunzione, ma neanche poca da abbassare o stroncare sul nascere ogni nostra iniziativa per scarsa fiducia in noi stessi; individuazione di obiettivi ambiziosi ma realizzabili in un tempo prestabilito.

E infine “il successo non è la chiave per ottenere la felicità, la felicità è la chiave del successo. Se amate ciò che fate, sarete persone di successo” diceva l’alsaziano Arthur Schweitzer, Premio Nobel per la Pace nel 1952, medico, missionario, teologo, filantropo, musicista e musicologo, nonostante un’infanzia non proprio semplice e felice date le sue difficoltà di salute e anche di apprendimento. A salvarlo e a renderlo grande sono però le sue passioni: la musica in primis su cui concentra inizialmente energie e risorse arrivando al suo primo componimento a soli sette anni, poi l’amore verso gli altri e la medicina verso le quali incanala tutte le sue potenzialità e competenze andandosene in Africa a curare le malattie più gravi e pericolose, felice di farlo. Nonostante l’epoca decisamente distante dalla nostra, Schweitzer parla già di “uomo moderno sovraccarico di lavoro” e di “influssi che tendono a privarlo di qualsiasi fiducia in se stesso”, e degli ideali come “fonte di ispirazione e motore per l’agire dell’uomo”. Vale decisamente la pena di tener conto delle sue parole.

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