Il blog di Chiara Cecutti

La produttività e i nuovi modelli di organizzazione del lavoro

Produttività e organizzazione. I nuovi modelli di organizzazione a partire dai cambiamenti del mondo del lavoro.
Nel secondo approfondimento ci siamo occupati di La gestione del tempo e l’orario di lavoro: organizzazione e produttività

I CAMBIAMENTI DEL MONDO DEL LAVORO

Il massiccio spostamento dell’occupazione dalla produzione ai servizi caratterizza il lavoro in Italia e, in generale, in Occidente. La prima conseguenza di questa mutazione è una diversa distribuzione delle quote di lavoro industriale, ormai suddiviso su scala globale e la modifica radicale del mercato del lavoro nei paesi occidentali, Italia in testa. In aggiunta l’introduzione dell’euro e l’impossibilità conseguente di svalutare la moneta per agevolare la competivitià hanno costretto a un capovolgimento di prospettiva che ha accelerato i processi di ristrutturazione delle aziende.
Un cambiamento improvviso che ha modificato il rapporto fra produzione e servizi, molto spesso esternalizzati e che riguarda la struttura stessa della nostra società, analogo in qualche modo alla trasformazione fra società agricola e industriale.

La convergenza delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione ha consentito inoltre di ottenere servizi su scala prima impensabile, maggiore capacità di innovazione e la possibilità di aprirsi a mercati internazionali inaccessibili, fornendo la possibilità di crescere senza dover per forza crescere di dimensione. Per riuscire però a ottenere una maggiore qualità del lavoro, la tecnologia non è sufficiente, occorre coniugarla con nuove forme organizzative del lavoro e nuove relazioni fra i lavoratori che siano in grado di sfruttarne le potenzialità.

L’adozione di nuove forme di organizzazione del lavoro comporta tre aspetti fondamentali:
• multifocalità
• maggiore autonomia dei lavoratori
• partecipazione attiva nella soluzione dei problemi e nell’integrazione dei processi.

Una ristrutturazione che ha avuto luogo solo parzialmente nelle imprese italiane, ancora carenti dal punto di vista dell’autonomia dei lavoratori e, di conseguenza, nella ricerca di elevata competenza professionale sia singola che collettiva. Si tratta di un deficit comune sia al privato che al pubblico, dove l’adozione di nuove forme di organizzazione e il taglio delle risorse ha portato in alcuni casi alla paradossale esplosione dei costi o all’impoverimento dei servizi.
Le conseguenze, all’interno delle aziende sono altrettanto visibili. La ristrutturazione diventa una necessità, sia per restare competitivi in un mondo cambiato a velocità impressionante, sia per sopravvivere alla crisi dei distretti, creata dalle differenti condizioni economiche e politiche globali.

In generale
• occorre organizzare strategie di breve periodo
• nasce l’esigenza di figure manageriali specifiche e, spesso, di separare proprietà e gestione
• serve una maggiore attenzione al marketing e non soltanto alla qualità del prodotto/servizio realizzato
• l’obbligo di innovazione comporta l’integrazione in azienda di nuove competenze anche esterne
• diventa sempre più urgente la necessità di avere capitale umano formato

È da questa trasformazione che nascono le filiere.
La produzione diventa modulare, con un primo livello che non crea più un singolo componente, ma un insieme di componenti, a beneficio dei due livelli successivi. Nasce un nuovo sistema produttivo che ha modificato intere aree territoriali, diventate luoghi di fornitura specializzata integrate in una filiera europea.
I rapporti fra le imprese diventano gerarchici, con conseguenze diverse a seconda della posizione nella catena e il rischio di impoverimento delle situazioni più periferiche, nel caso in cui si siano focalizzate solo sul contenimento dei costi. Diventa perciò fondamentale incentivare, anche attraverso politiche nazionali e locali mirate, l’innovazione dei prodotti/servizi delle singole realtà e, più in generale, dei sistemi produttivi, integrando l’offerta di servizi, consulenza e formazione con la necessità di avere forza lavoro qualificata, competente e professionale.

La realtà mostra una condizione lavorativa in cui le aziende più forti della filiera condizionano pesantemente il funzionamento delle sub-fornitrici. I tempi di consegna, le quantità, i ritmi, la qualità del prodotto sono dettati, quasi imposti dall’azienda leader e modificano le condizioni delle aziende periferiche, condannate a uno stato di precarietà e marginalità che rischia di sconfinare nel lavoro nero.

Un problema notevole, che coinvolge le politiche industriali e del lavoro, la rappresentanza sindacale, l’organizzazione delle aziende e dei distretti industriali e la consapevolezza, da acquisire come dato di fatto, che la situazione sociale e la concorrenza dei nuovi mercati non permettono più di ragionare solo in termini di costo orario della manodopera.
Occorre guardare avanti, verso nuovi modelli produttivi.

IL MODELLO PRODUTTIVO

I modelli più importanti che si sono affermati negli anni sono

• un sistema tradizionale taylor-fordista, con compiti elementari, compenso legato alla mansione, nessun coinvolgimento dei lavoratori e un’organizzazione gerarchica con scarsa comunicazione fra le singole unità dell’organizzazione
• un sistema flessibile di tipo giapponese, con lavoro multi-task, rotazione delle posizioni, lavoro di squadra, nessuna gerarchia e alta comunicazione ampia tra le diverse unità
• un sistema flessibile e partecipativo, svedese, con le stesse caratteristiche del sistema giapponese ma con i lavoratori della squadra che decidono come svolgere il lavoro e sono coinvolti in decisioni di tipo gestionale.

La natura non prevedibile del mercato e del contesto sociale e economico delle attività lavorative richiede una tale flessibilità e adattabilità da costringere al superamento del modello fordista di produzione, verso un ‘organizzazione che possa liberare il potenziale creativo e le capacità del capitale umano, in una specie di parallelo fra l’individualismo del singolo e quello dei mercati.
Risposte nuove, incentivate anche dall’evidenza che le nuove forma di gestione delle risorse umane, se applicate in blocco, portano quasi sempre verso un aumento della produttività. Dalla rotazione del lavoro al lavoro di squadra, alla consultazione dei dipendenti sulle problematiche aziendali fino a meccanismi di compenso basati sullo sviluppo di competenze e meccanismi di promozione orizzontale.

L’argomento merita uno sviluppo ulteriore.
Nei prossimi articoli mostreremo alcuni esempi di organizzazione alternativa al modello tradizionale, analizzeremo la gestione del tempo e l’orario di lavoro, ci occuperemo di relazioni e fiducia all’interno dei gruppi di lavoro e di come ognuno di questi ambiti organizzativi e relazionali influenzi la produttività dell’azienda.

Per qualsiasi domanda o curiosità i commenti e la nostra email sono a disposizione.



Le altre parti dell’approfondimento su produttività e organizzazione:
2. La gestione del tempo e l’orario di lavoro: organizzazione e produttività

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